una mano lava l'altra

martedì 13 gennaio 2009

Una strada per Mario Magnotta

Da bravo quasi-aquilano anche io ho sottoscritto la petizione per intitolare una via a Mario Magnotta, di cui sentii le famose telefonate quando avevo circa 12 anni, cioè nel lontano 1997, non so se su mp3 o grazie ad una cassetta doppiata, non ricordo; cmq sebbene non sono affatto d'accordo sul fare scherzi così pesanti, che hanno provocato nel povero bidello le sue famose esternazioni, direi che Mario è un inno all'umanità imperfetta e semplice, quella di cui non tutti facciamo parte; imperfetti tutti, sì, ma semplici...

RIP 1942-2009

NB l'ansa dice che ci sono 200 firme, ma al momento ne sono ben 18290!!!

lunedì 12 gennaio 2009

Come salvare un giapponese

Se è vero che a capodanno in Italia, o meglio a napoli si muore per fuochi d'artificio e pallottole vaganti, in Giappone gli anziani muoiono per soffocamento da mochi , un cibo che se non masticato bene può risultare fatale... e allora ecco come fare!!!


Ah è tipico anche mangiare gli toshikoshi soba, degli spaghetti da mangiare freddi o in brodo, un po' come le nostre lenticchie e cotechino. Molto meno mortale!
Mi è sembrato di capire qualcosa di quello che dicono i due tizi, dopo che la cavia è stata salvata : "Nin sshtì bone?" "Sto 'na favola!" "Ma chi sttì ddì?" "Shting' come na frezza! 'Ngulo! Che ficata!" "Freeeghete che ficata!" "Grazie mille!"
NB il dialogo è stato tradotto non in italiano, ma in pescarese...

venerdì 9 gennaio 2009

Il Cammino fa 40 anni, e a Roma se festeggia! Aò!

Sperando di non incorrere in violazioni di copiright o simila, riporto un paio di articoli sul cammino usciti da poco. Enjoy


Sabato 10 gennaio, gli iniziatori del Cammino Neocatecumenale – Kiko Argüello, Carmen Hernández e padre Mario Pezzi – presenteranno a Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro i frutti che il Cammino ha dato in 40 anni di presenza nella Diocesi di Roma.
Nel corso di un'udienza alla vigilia della Festa del Battesimo di Gesù, verrà presentata al Pontefice la prima Comunità Neocatecumenale della città, dei Santi Martiri Canadesi, formata da 49 persone, con circa 100 figli.
Francisco (Kiko) Argüello e Carmen Hernández, insieme ad un sacerdote di Siviglia, giunsero a Roma invitati da don Dino Torreggiani, di cui è in corso la causa di beatificazione e che si occupava soprattutto della pastorale degli emarginati, degli zingari e dei migranti.
Don Dino, ricorda un comunicato ricevuto da ZENIT, “aveva visto nell'esperienza di Kiko e Carmen a Madrid una risposta al bisogno di evangelizzare i lontani. Dopo avere parlato con alcuni parroci ed essere stati rifiutati, Kiko andò a vivere, come in Spagna, in una baracca in mezzo ai più poveri del Borghetto Latino”.
L'incontro con un gruppo di giovani che animavano una Messa nella parrocchia dei Martiri Canadesi portò ad iniziare le catechesi in quella parrocchia, dove il 2 novembre 1968 nacque la prima Comunità Neocatecumenale d'Italia.
“Così, mentre in Italia e nel mondo le manifestazioni e le occupazioni del movimento studentesco si succedevano senza tregua e il marxismo sembrava ormai una verità assoluta dimostrata dalla storia, un piccolo seme che annunciava non la violenza rivoluzionaria ma l'amore al nemico, veniva piantato in silenzio e, provvidenzialmente, proprio a Roma”, aggiunge il testo.
Da Roma – la Diocesi in cui il Cammino Neocatecumenale è più diffuso nel mondo –, il Cammino si è esteso in tutta Italia, dove vi sono attualmente 5000 comunità, per un totale di circa 200.000 persone, senza contare i figli, in genere molto numerosi.
Da Roma sono partite anche molte delle équipes itineranti che in pochi anni hanno portato il Cammino in 120 Paesi dei 5 continenti, formando ventimila Comunità in oltre 5.500 parrocchie grazie anche al sostegno dei Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e ora Benedetto XVI.
Paolo VI definì il Cammino un esempio dei “frutti del Concilio”, mirante “all'autenticità, alla pienezza, alla coerenza, alla sincerità della vita cristiana”, un “merito grandissimo”. Dal canto suo, Giovanni Paolo II ne parlò come di un “itinerario di formazione cattolica valido per la societa` e i tempi odierni”.
Benedetto XVI ha conosciuto il Cammino quando era professore a Tubinga attraverso alcuni studenti e, favorevolmente impressionato, ha aiutato ad introdurre questa esperienza in Germania, guidando il processo che ha portato recentemente all'approvazione definitiva degli Statuti.
Già quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Cardinale Ratzinger fece esaminare a fondo i contenuti teologici delle Catechesi Kerygmatiche, come pure dei vari passaggi del Neocatecumenato, e nel 2003 ne comunicò l'approvazione definitiva al Pontificio Consiglio dei Laici.
Nel giugno 2008 gli Statuti hanno ricevuto l'approvazione definitiva e il Cammino è stato riconosciuto come “una modalità di attuazione diocesana dell'iniziazione cristiana e dell'educazione permanente nella fede” (Statuti del Cammino Neocatecumenale, art.1).
Il 10 gennaio, in particolare, verranno presentate al Papa 14 Comunità di Roma (ciascuna formata da 30-60 persone) che hanno terminato il percorso neocatecumenale e che, d'accordo con i propri parroci e con il Cardinale Vicario, sono pronte a partire come "communitates in missionem" nelle zone più difficili e secolarizzate delle periferie di Roma, in aiuto ai parroci. E' la prima volta nella storia della Chiesa che partono in missione non individui e neppure famiglie, ma intere comunità che hanno fatto assieme un lungo percorso di fede.
Verranno inoltre presentate 14 "Missio ad Gentes", richieste da diversi Vescovi per inaugurare la Nuova Evangelizzazione in zone secolarizzate di grandi città (Colonia, Budapest, Vienna, Stoccolma, New York) o in zone emarginate (tra gli aborigeni australiani, nelle Antille...).
Sette andranno in Europa, due in America, tre in Oceania e tre in India. Ogni "Missio" è composta da 1 presbitero, 4 famiglie con numerosi figli e 2 sorelle in sostegno alle famiglie, per un totale di 40-50 persone.
Allo stesso modo, saranno presentati le 212 nuove famiglie che con i loro figli (circa 1.000) verranno inviate in tutto il mondo su richiesta dei Vescovi (che si aggiungono alle altre 500 famiglie con 2500 figli già in missione da anni), i 700 itineranti che partendo da Roma e Madrid hanno aperto il Cammino Neocatecumenale in 120 Nazioni e i 18.000 fratelli delle 500 Comunità di Roma, presenti in 103 parrocchie, con i loro parroci e presbiteri.
Alla cerimonia si prevede una partecipazione di oltre 25.000 persone.
Ed ecco uno stralcio di intervista a Kiko sulla necessità e urgenza dell'evangelizzazione. Comprate il numero di Paulus da cui è tratta!
«Tutte queste cose ho considerato una perdita a motivo di Cristo» (Fil 3,7). Vengono alla mente queste parole di san Paolo ascoltando la martellante insistenza di Kiko Argüello sull’urgenza dell’annuncio cristiano. Una priorità davanti alla quale tutto passa in secondo piano. Naturale, allora, che il Cammino Neocatecumenale festeggiasse i suoi quarant’anni di storia e l’approvazione definitiva dei suoi Statuti con una nuova fase di evangelizzazione. Il 10 gennaio infatti, ai primi vespri della Festa del Battesimo del Signore, Benedetto XVI invierà in missione presso zone scristianizzate duecento famiglie e quindici missio ad gentes, cioè piccoli nuclei formati da tre famiglie e da un sacerdote, che si dedicheranno alla implantatio ecclesiae presso Colonia, Vienna, New York, l’India e la Papua Nuova Guinea. Infine, per la prima volta nella storia del Cammino, partiranno anche quattordici comunità che hanno completato il Cammino – in genere ognuna è formata di 30-40 persone – e che andranno ad aiutare altre parrocchie limitrofe con gravi difficoltà pastorali. Ma che cos’è il Cammino Neocatecumenale? Lo stesso Kiko Argüello – che con Carmen Hernández si definisce suo “iniziatore”, ma non suo fondatore – confessa di non saperlo. «È un’opera dello Spirito Santo – ci dice. – Non è nato per nostra volontà né abbiamo progettato qualcosa a tavolino... abbiamo sempre lasciato che fosse lo Spirito Santo a guidarci. Le tappe dell’iniziazione alla fede, i seminari Redemptoris Mater, le missio ad gentes... tutto questo non lo immaginavamo neppure quando abbiamo cominciato». Gli Statuti definiscono il Cammino come «itinerario di formazione cattolica [...] dotato di personalità giuridica pubblica» che «consta di un insieme di beni spirituali» (1§1-3). Non un movimento o un’associazione, dunque, quanto un preciso metodo di catechesi e un ben strutturato strumento di riscoperta del battesimo che la Chiesa mette a disposizione dei suoi vescovi. Kiko, consultore del Pontificio Consiglio per i Laici, invitato allo scorso Sinodo sulla Parola, è già impegnato nell’organizzazione di nuovi progetti, tra cui un “Family Day” a Vienna. Inutile dire che l’Apostolo delle genti è un costante riferimento non solo nelle catechesi di Kiko, ma anche nelle sue icone e soprattutto nei canti da lui composti per la liturgia. «San Paolo – continua Kiko – è un gigante della fede, un modello di apostolo per tutti noi».
Paolo scrive: «Ritenni di non sapere altro se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2). La croce è al centro della predicazione del Cammino: che ruolo ha avuto nella sua nascita?
«Fondamentale. Il Cammino Neocatecumenale è nato tra le baracche di Palomeras Altas, uno dei quartieri più poveri di Madrid. Io allora ero vicino a Sartre e venivo da un’esperienza di crisi esistenziale molto forte. Mi colpì il romanzo La peste di Camus e conobbi il Signore attraverso il mistero della sofferenza degli innocenti. Pensai allora che, se Dio fosse tornato sulla terra, sarei voluto stare ai piedi del Cristo crocifisso nei più miserabili. Perché negli strati sociali più oppressi, nella gente schiacciata dal dolore, negli alcolizzati, in chi è schiavo della droga, si manifesta in qualche modo una presenza misteriosa di Cristo crocifisso. Il mistero del dolore era già stato compreso anche dagli ebrei, che raccomandavano al medico: “Quando ti recherai da un sofferente, resterai in piedi davanti a lui, perché lì c’è la shekinà divina”, cioè la presenza di Dio. Il dolore ci obbliga a una scelta. Perché davanti alla sofferenza, soprattutto degli innocenti, non si scappa: o lasci la fede e diventi un rivoluzionario, oppure riconosci il mistero che Dio ha mostrato in Cristo crocifisso. Pensiamo a cosa dice Nietzsche in Così parlò Zarathustra, una frase che ha tolto la fede a tanti giovani: “Se Dio può fare qualcosa per il mondo e non lo fa, è un mostro. E se invece non può fare niente, allora non esiste”. Ma quello che Nietzsche non sapeva è che Cristo, fattosi peccato, rifiutato e crocifisso, è Dio stesso. È stato anche detto che dopo Auschwitz non si può più credere in Dio. Ricordo però di aver letto la testimonianza di un capo della Gestapo, ateo, che a un certo momento si rese conto delle mostruosità che si consumavano nei campi di concentramento. Un giorno vide passare una fila di donne e di bambini nudi che venivano condotti alle “docce”, cioè alle camere a gas, e avvertì dentro di sé un dolore acutissimo. Si chiese che cosa poteva fare per aiutarli e per calmare quel suo dolore. E sentì dentro di sé che quello che doveva fare era spogliarsi, mettersi in fila anche lui e andare a morire con loro nella camera a gas. Venti anni dopo, scriveva, ancora non capiva da dove gli fosse venuta quella risposta... ma noi cristiani lo sappiamo: è l’amore che è apparso sulla terra nella croce di Cristo. Spogliarsi di tutto e andare a morire con gli ultimi è un atto che fa più di tutte le opere sociali del mondo. Perché è quello che ha fatto Cristo. È la testimonianza che, anche dopo Auschwitz, l’amore c’è. Se esiste l’amore nel mondo, si può morire nelle camere a gas, perché la vita e la morte hanno un senso, perché Cristo è risorto».
Che cosa hai fatto, allora?
«Ho lasciato il mio studio artistico a Plaza de España – avevo già fatto alcune esposizioni di arte sacra in Francia e in Olanda – per andare a mettermi ai piedi dei più poveri, secondo lo stile di Charles de Foucauld: non per fare opere, ma per stare in adorazione silenziosa della sofferenza umana, nel nascondimento completo, come Cristo nei trenta anni a Nazareth. Un’assistente sociale m’indicò alcune sacche di poveri a Palomeras Altas, dove c’erano case di miserabili e di kinkis, così venivano chiamati i nomadi in Spagna. Una famiglia di zingari se n’era andata e mi misi nella loro baracca, con una Bibbia e un materasso per terra. Laggiù ho conosciuto anche Carmen, che era in contatto con tutto il rinnovamento conciliare e liturgico: dal Concilio è venuta la spinta a ristabilire il catecumenato come una via di iniziazione cristiana, che potesse rinnovare la ricchezza e la bellezza del battesimo. E un poco alla volta si è andato formando quel “tripode” che sarebbe diventato il fondamento del Cammino: la Parola di Dio, la Liturgia e la Comunità cristiana. Poi, quando siamo venuti in Italia, si è unito a noi padre Mario».
San Paolo vi ha accompagnato fin dall’inizio. All’interno della baracca di Palomeras Altas avevi dipinto sulla parete questi versetti dell’Apostolo: «Fino al presente siamo diventati come la spazzatura del mondo» (cfr. 1Cor 4,11-13).
«Di problemi poi ce ne sono stati tanti...! A partire dai conflitti con la polizia di Franco, che voleva abbattere tutte quelle baracche, perché la legge vietava il nomadismo e la costruzione d’insediamenti provvisori. Noi li volevamo difendere, ma cosa potevamo fare contro i mitra e i camion? Chiamammo tutti i nostri amici preti e perfino l’arcivescovo di Madrid, mons. Casimiro Morcillo. Il suo segretario non voleva farci parlare con lui, ma l’arcivescovo – sentendogli alzare la voce – si fece passare la telefonata e venne immediatamente da noi. È stato un miracolo di Dio, ci ha salvati. Poi mons. Morcillo volle visitare la nostra baracca e si commosse vedendo che dormivamo per terra. Da allora ci ha sempre aiutato e difeso... anche se non eravamo nessuno. Fu lui a mandarci a Roma con una lettera per il cardinale Dell’Acqua, che era il Vicario di Sua Santità. E non posso dimenticare nemmeno don Dino Torreggiani, il fondatore dei Servi della Chiesa per cui è stato aperto il processo di beatificazione, che ha insistito perché venissimo a Roma e che lì ci presentò a tante parrocchie: io parlavo in spagnolo per proporre un cammino d’iniziazione cristiana, e lui mi traduceva in italiano. Tanti ci hanno detto di no. Allora, era il 1968, ci siamo stabiliti al Borghetto Latino con i poveri nelle baracche, aspettando cosa volesse da noi il Signore. Mentre stavamo lì alcuni giovani c’invitarono a un incontro con i gruppi di contestazione sociale a Nemi e io – con la barba lunga e il giaccone verde – davanti a quei 400 giovani, quasi tutti di sinistra, raccontai loro la mia vita. Allora mi si avvicinò un gruppo della parrocchia dei Martiri Canadesi: facevano la Messa beat con le chitarre elettriche e ci chiesero cosa ne pensavamo. Abbiamo detto che la Chiesa non si riformava con le chitarre elettriche, ma con il mistero pasquale. Lì, alla parrocchia dei Martiri Canadesi, sono nate le prime catechesi in Roma... poi c’è stata Firenze, poi Lisbona... Intanto la Santa Sede ci aveva convocato per verificare cosa facevamo nelle parrocchie, com’è giusto che sia. Nel 1973 mons. Annibale Bugnini, allora segretario della Commissione liturgica e impegnato nella preparazione dell’OICA (Ordo Initiationis Christianae Adultorum), ci incontrò e fu colpito molto favorevolmente da quello che facevamo, perché vi trovò proprio lo spirito del Concilio Vaticano II. E ricordo bene anche la nostra seconda udienza con Paolo VI, nel 1977, che mi mise una mano sulla spalla e mi disse: “Kiko, sii umile e fedele alla Chiesa, e la Chiesa ti sarà fedele”. Oggi che gli Statuti del Cammino sono stati approvati, nonostante le difficoltà, vedo che quella parola si è realizzata».
San Paolo mette l’annuncio del vangelo prima di qualsiasi altra esigenza. Scrive ai Romani: «Come potranno credere, senza averne sentito parlare? e sentirne parlare senza uno che lo annunzi?».
«Non c’è cosa più grande che annunziare il Vangelo, la Parola della salvezza, il kérygma! San Paolo dice che Dio ha voluto salvare il mondo attraverso la stoltezza della predicazione (1Cor 1,21), ma se andiamo a vedere il testo greco della sua Lettera non troviamo il termine “predicazione”, ma la parola kérygma. Che cos’è il kérygma? È l’annuncio di una notizia buona e sorprendente, un annuncio che si realizza tutte le volte che viene proclamato».
Annunciare questa buona notizia, allora, non può che essere «un dovere» (1Cor 9,16).
«Sì, perché ogni cristiano è chiamato a salvare il mondo attraverso l’annuncio. Il cristianesimo non è un egoismo né qualcosa che viene dato da godere nella nostra piccola pace interiore... il cristianesimo è uno zelo! Guai a me se non annunzio il Vangelo! Tutti devono annunziare che Dio ci ama, al punto che ha mandato il suo Figlio per noi, per me e per te. Dice san Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi: Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14). Cioè: l’amore di Cristo ci spinge, è un’urgenza, ci mette fretta, è un fuoco che portiamo dentro!».

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